Molti anni fa, la parola d’ordine per molte aziende era delocalizzare le proprie produzioni, in particolar modo verso i Paesi del sud est asiatico e della Cina, per ridurre i costi della mano d’opera e delle materie prime.
Negli ultimi tempi tuttavia, anche in quei Paesi i salari sono aumentati, rendendo meno economico l’utilizzo della forza lavoro locale, inoltre con le nuove modalità produttive è nata l’esigenza di maggior supervisione e controlli per garantire qualità e conformità dei prodotti.
A questo si aggiunge anche l’incertezza geopolitica attuale che, tra Covid e guerra, ha portato all’aumento dei rischi e alla necessità di avere soluzioni alternative in caso di fattori imprevisti (come la crescita dei costi di trasporto/carburanti o le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime).
Si è assistito così ad un’inversione di tendenza: il reshoring, ossia il riportare nei Paesi d’origine le produzioni in modo da avere un maggior controllo sui materiali e sulle catene di approvvigionamento evitando la dipendenza da singoli Paesi.
Riacquistare controllo sul processo produttivo comporta anche il tutelarsi dal pericolo di restare coinvolti, con le relative cadute di immagine, in situazioni di lavoro minorile o di scarsa o assente tutela dei lavoratori o di responsabilità per le condizioni d’impiego in cui gli addetti ad alcune lavorazioni devono operare.
Tra le spinte verso il reshoring ce n’è anche una legata all’altro grande tema dei nostri giorni, ossia l’ambiente. Il reshoring porta, tra le sue motivazioni, il desiderio di accorciare la catena di approvvigionamento per cercare di produrre più vicino ai propri clienti, limitando le emissioni associate alla spedizione delle merci su lunghe distanze.
Anche il processo produttivo stesso, se localizzato in Paesi in via di sviluppo o di prima industrializzazione, risulta spesso meno controllato e può generare più inquinamento.
Studi compiuti da società specializzate negli USA indicano nel 25% la riduzione dell’impatto ambientale mondiale, in funzione dello specifico prodotto, utilizzando catene di approvvigionamento domestiche rispetto a quelle offshore.
Anche per molte aziende italiane il reshoring delle attività presenta numerosi vantaggi: il poter utilizzare il marchio Made in Italy, la ricerca di maggiore flessibilità, un maggior controllo sulla fase di produzione e/o assemblaggio, il valore dei noli, la (mancata) implementazione di Zls e Zes.